“Non
possiamo comunicare con il Signore, se
non comunichiamo tra noi”. E’ questo il
messaggio che Papa Benedetto XVI ha lanciato
da Bari ai fratelli Ortodossi. Un messaggio
giunto nel giorno conclusivo del XXIV
congresso eucaristico nazionale della
chiesa cattolica.
Il Papa non ha semplicemente aperto al
dialogo ecumenico, il piu' delle volte
vacuo e senza sostanziali conseguenze,
ha piuttosto fatto una rivelazione fondamentale
che e' anche una sua promessa, un impegno
per il suo papato: “Proprio qui, a Bari,
- ha detto il Santo Padre - citta' che
custodisce le ossa di San Nicola, terra
di incontro e di dialogo con i fratelli
cristiani dell’Oriente, vorrei ribadire
la mia volonta' di assumere come impegno
fondamentale quello di lavorare con tutte
le energie alla ricostituzione della piena
e visibile unita' di tutti i seguaci di
Cristo”.
E non sara' un caso se e' ormai diventata
una abitudine nelle celebrazioni solenni
officiate da Papa Ratzinger lo sdoppiamento
del Vangelo: in latino ed in greco. Chiunque
abbia vissuto l’emozione di una liturgia
ortodossa puo' intendere il senso profondo
di questo gesto. A Bari abbiamo visto
il diacono ortodosso e quello latino avanzare
insieme con i Vangeli e mostrarli sullo
stesso piano ai 200.000 fedeli presenti
sotto il sole pugliese. E tutti hanno
ascoltato nel massimo silenzio il Vangelo
originario, quasi solennemente compresi
dalla mistica lettura salmodiata, con
gli occhi rivolti al luccichio dei paramenti
dorati del diacono. Inoltre la scena del
palco su cui si e' svolta la celebrazione
era incorniciata da una statua del Cristo
crocifisso e dall’icona dell’Odigitria,
quasi a testimoniare l’unione nella stessa
rappresentazione della fede. E quando
il Papa, all’annuncio del Vangelo in greco
ha risposto “irini pasi” per un attimo
si e' tornati indietro nel tempo, all’anno
1054, l’anno dello scisma.
Prima di allora il Papa ricordava nella
messa il Patriarca Ecumenico ed ugualmente
a Costantinopoli il nome del Papa era
iscritto nella liturgia. La comunione
fra Chiesa d’Oriente e Chiesa d’Occidente
avveniva nella diversita' della lingua.
Anche il canto sino a quel momento corrispondeva,
fra Roma e Costantinopoli. Il gregoriano
infatti nasce in Francia, a Roma invece,
nella Curia, si cantava sino al mille
un canto unico per i latini, un canto
in cui l’atmosfera solenne era resa dalle
voci di bordone, come in quello bizantino.
I limiti dottrinali furono poi escogitati
al tempo dello scisma, per dividere cio'
che la fede univa. Anche Giovanni Paolo
II infatti, nella sua visita ad Atene,
ai piedi dell’Areopago, non pronuncio'
nel Credo la formula del filioque, segno
comune di differenza. E domenica 29 maggio
anche Papa Benedetto XVI ha preferito
un’altra forma del Credo, proprio per
evitare di rimarcare sottili divergenze
teologiche che non sembrano appartenere
alla vera fede. “Sono cosciente che per
questo non bastano le manifestazioni di
buoni sentimenti – ha aggiunto il Papa
- occorrono gesti concreti che entrino
negli animi e smuovano le coscienze, sollecitando
ciascuno a quella conversione interiore
che e' il presupposto di ogni progresso
sulla via dell’ecumenismo.” Speriamo quindi
che possa presto tradursi in realta' la
proposta avanzata dal cardinal Kasper
nell’ambito del Congresso Eucaristico
di ripetere a Bari un sinodo di vescovi
Greci e Latini, come quello che avvenne
nel 1098 per ricucire le divisioni ed
unire le basi piu' forti della fede cristiana.
Francesco
Colafemmina
1 Giugno 2005