Il
27 Gennaio il mondo ha ricordato la Shoah,
il genocidio ebraico che costò
la vita a centinaia di migliaia di uomini
e donne nell’Europa del secondo
conflitto mondiale.
Ma in questo giorno nel quale si ricorda
la crudeltà dell’uomo e la
barbarie che giace nel suo cuore altri
genocidi andrebbero ricordati, genocidi
la cui memoria spesso è sbiadita
per il tempo o forse solo per la malizia
dei contemporanei.
I
mikrasiatiki Katastrofì è
uno di quei genocidi dimenticati, la cui
tragica presenza aleggia ancora in molte
città della Grecia, in molti ricordi
che si sono fatti vita nella lingua, nella
musica, nella tradizione dell’Ellade
tutta.
Allora, nel 1922, quando Smirne fu bruciata
in un lampo, ed i greci che abitavano
la terra d’Asia Minore da millenni
cercavano riparo nelle acque profonde
del porto, allora non c’erano che
pochi
americani a filmare quella tragedia.
Quando nel Ponto, regione ormai scomparsa
dai libri di geografia, in quella terra
che si apre al mar nero, migliaia di uomini
giovani e vecchi furono trucidati dai
Turchi non c’era nessuno a raccontare
un’altra Shoah: il sacrificio del
popolo cristiano dell’Asia Minore.
Oggi simbolicamente vogliamo ricordare
la morte di centinaia di migliaia di greci
e greche dell’Anatolia, perché
l’esercizio del ricordo non è
solo retorica e
reportage,
non è un dossier giornalisticamente
perfetto e politicamente conveniente.
No, la memoria è spesso terribile
perché non sempre il presente è
pronto ad accettarla ed oggi che la Turchia
bussa alle porte dell’Europa sembra
disdicevole, sconveniente ricordare i
neomartiri caduti a Smirne, a Trapezunta,
in Cappadocia o sulle sponde del Mar di
Marmara.
Ma noi vogliamo far rivivere quegli orrori
come monito ad una umanità spesso
insensibile
dinanzi alla morte ed alle guerre e tanto
più insensibile quanto pronta a
trasformare ogni tragedia in una celebrazione,
in un rito passeggero e monotono di cui
spesso non afferriamo neanche il significato.
Noi non dimentichiamo e chiediamo il riconoscimento
del genocidio greco del 1922 assieme a
quello armeno del 1915 alla Repubblica
di Turchia, perché soltanto riconoscendo
le proprie colpe si può sperare
nel perdono. E perché soltanto
il riconoscimento della Verità
è l’autentico viatico della
Civiltà.
Francesco
Colafemmina
1 Febbraio 2006
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