DIONISO DIO DELL'EBBREZZA E
POI DEL VINO
di Mary
Falco
Il
mito delle origini dei Traci si confonde
con quelle del loro dio più misterioso:
Dioniso, uno dei più inquietanti
dei dell'Olimpo greco, signore dell'irrazionalità
e dell'ebbrezza che gli studiosi di un
tempo ritenevano appunto originario della
Tracia, regione corrispondente al settore
orientale della penisola balcanica, attualmente
divisa in Turchia, Grecia, Bulgaria.
Le prime notizie storiche della zona risalgono
ad Erodoto: a partire dal VI sec. a.C.
infatti, le relazioni fra le tribù
di cacciatori seminomadi, ricchi di miniere,
foreste e prodotti agricoli di ogni tipo,
e le raffinate ma povere città
greche eternamente affamate di nuove risorse,
s'erano fatte più intense, ora
ostili, ora amichevoli, ma sempre comunque
vivide di scambi.
Erodoto afferma che Artemide, Ares e Dioniso
costituiscono la triade di divinità
traciche. Tutte le religioni di ceppo
indo-europeo infatti hanno una loro trinità
dominante sulle altre forme divine. Il
nome di Dioniso si confondeva talvolta
con quello del dio Reso, abile cacciatore
e guida agli inferi, che percorre a cavallo
tutti i Balcani. Tra i due è frequente
uno scambio di identità: nella
regione dello Strimone si affermava che
il nome dell'eroe a cavallo fosse proprio
Dioniso, in Grecia si narravano invece
le profezie di un eroe di nome Reso, che
serviva Bacco sul monte Pangeo, in qualità
di sacerdote. Attualmente la teoria ormai
classica di un Dioniso di origine tracia
è contestata dagli studiosi che
lo vorrebbero ancora più antico...
ma in realtà la contraddizione
è più apparente che reale:
le origini dei Traci non sono meno misteriose
di quelle del loro dio, il loro dialetto
appartiene al gruppo tracio-frigio' come
appunto le leggende dei primi riti dionisiaci.
Originario o no Dioniso godette in queste
terre di un culto appassionato: lo veneravano
gli edoniani sul monte Pangeo, i coloni
di Anfipoli, i Satri del Rodope, dove
si trovava un santuario ancora intensamente
frequentato in età cristiana.
L'idea che Dioniso potesse essere una
divinità dall'accentuato carattere
oracolare è tipica della Tracia,
poiché in Grecia questo particolare
aspetto era riservato ad Apollo. Non è
escluso tuttavia che Dioniso ne rappresenti
il "doppio" notturno, secondo
la ben nota intuizione nietzchiana, che
ha ricevuto in questo molte conferme,
soprattutto dagli studi di Jeanmaire.
Greci e Traci si trovavano d'accordo sul
fatto che Dioniso proteggesse dalla peste
e nel periodo ellenico il Mar Nero pullulava
di gruppi dionisiaci organizzati a piccole
confraternite.
In questa zona egli era ritenuto molto
più importante dello stesso Zeus,
che, non dimentichiamolo, gli era padre.
La principessa Semele
Ben
nota è la tragedia della principessa
di nome Semele, amata dal Dio come tante,
che mentre era in felice attesa di suo
figlio subì le beffe delle tre
sorelle: Ino, Autonoe ed Agave, suscitate
dalla gelosia della moglie tradita, Hera,
ma forse anche dal fatto che la poveretta
era ancora nubile e la gravidanza non
recava gran lustro al palazzo. La debole
Semele, invece di sopportare in silenzio,
concepì il desiderio impudente
di esibire il suo amante divino chiedendogli
di manifestarsi... questi la accontentò
immediatamente, scegliendo la più
eclatante delle proprie forme: il fulmine,
tanto che Semele, impreparata, ne restò
incenerita. Il nascituro non fu minimamente
disturbato dalla folgore che si abbatte
sulla madre e Zeus decise di concludere
da se’ la gestazione, cucendosi
il bambino all'interno della coscia.
In seguito Dioniso viene affidato alle
tre zie, che avranno modo così
di riparare il torto fatto alla sorella
occupandosi del fanciullo, non solo come
nutrici, ma anche come guardie del corpo:
la gelosia di Hera, infatti, non è
stata placata dalla morte di Semele e
le affettuose zie provvedono a trasferirsi
dalla loro città di origine, Tebe,
aldilà del mare nell'Eubea, nonché
a confondere il vagito del bambino con
canti, suoni di flauto, tamburo e cembalo.
L'isola greca del mar Egeo scelta per
questa delicata missione è situata
verso l'estremo limite orientale, godette
di una propria civiltà autonoma
già fiorente fin dal VIII sec.a.C.
e solo nel 506 a.C. fu conquistata da
Atene. Questa sistemazione appoggia per
molti aspetti la vecchia tesi del Muller,
espressa già agli albori dell'Ottocento,
secondo la quale Dioniso corrisponde ad
una divinità arcaica precedente
ai miti agrari e collegata con l'invasamento
puro e la divina mania; attualmente quest'ipotesi
è stata rivalutata anche dalle
ricerche storiche di E. Rhode. Il termine
slavo "zemlia" o il lituano
"zemynal, che significano "terra
madre", ricordano ancora adesso una
divinità di origine frigia di nome
"Zemelo", invocata frequentemente
nelle iscrizioni tombali. Passando dai
miti arcaici alla Grecia, Dioniso acquista
sempre maggiore importanza rispetto alla
madre e si fa largo l'idea per così
dire di "consustanzialità"
fra padre e figlio: quest'ultimo infatti
non ha sofferto quando la madre è
stata folgorata. I Greci lo collegarono
spesso al culto frigio di Cibele ed Attis,
per il carattere orgiastico di entrambi:
come ad essi al Dioniso antico non sono
sacri i campi coltivati, ma i boschi ed
in modo del tutto particolare il pino
e l'edera.
Le feste in onore di Dioniso
La
più antica festa tributata a Dioniso
consisteva in una danza notturna in una
selva sacra, scelta preferibilmente su
una montagna, che culminava nel divoramento
di un animale vivo predisposto al sacrificio:
diasparagmos.
In questa prima fase il parossismo è
raggiunto semplicemente con la musica,
soprattutto con quella acutissima dei
flauti: non c'è nessuna notizia
dell’uso del vino o d'altre bevande
inebrianti.
Perché Dioniso desidera un sacrificio
così cruento? Forse per vendicarsi
di Hera, dea del matrimonio inteso soprattutto
come ordine imposto dalla società
alla natura?
Se di fatto tutta la vicenda di Dioniso
si pone fuori da questo ordine, il dio
non sembra curarsene in alcun modo, ne’
manifesta desideri di sopraffazione e
di vendetta, anzi, appena raggiunta l'età
della ragione ed appresa la verità
sulla propria nascita scende nell'Ade,
riprende sua madre e se la riporta a casa
felice e contento.
Questo episodio richiama alla mente un'altra
figura, meno lieta e fiduciosa nelle proprie
capacità: Orfeo, forse appunto
un sacerdote dionisiaco, certo musico
e poeta, divorato dalle baccanti stesse
in un'orgia, forse per un tragico errore
dovuto al parossismo del momento, o forse
perché aveva cercato di porre dei
limiti alla sacra ebbrezza.
Molto tardiva, certamente alessandrina,
la bella leggenda del viaggio nell'oltretomba
per salvare Euridice, l'amata sposa defunta.
Al contrario, i misteri orfici nascono
per familiarizzare l'uomo col suo destino
di creatura mortale, destinata all'oltretomba,
non certo per sottrarlo. Il mito di Dioniso
accoglie questo aspetto della religione
orfica e lo investe di una carica di ottimismo:
nessuna divinità può imitare
la sua straordinaria facilità di
accesso all'Ade... nonché quella
di uscirne!
La reincarnazione di Libero
Secondo
un'altra leggenda egli non sarebbe altro
che la reincarnazione del piccolo Libero,
figlio illegittimo di un Giove mortale,
tiranno di Creta. Naturalmente, terreno
o no, egli ha una moglie gelosa che invia
le proprie guardie, i giganteschi Titani,
a catturare il bambino, armati di falsi
giocattoli sonori. I giganti passano il
segno: non solo catturano il bambino,
ma lo fanno a pezzi, che cucinano addirittura
due volte: prima arrostiti e poi gettati
a bollire in pentola (notiamo l'antitesi
col diasparagmos!) e se lo mangiano. Assiste,
del tutto impotente, la sorellina Atena,
che tuttavia non si perde d'animo, perché
ha visto che il cuore del fratello è
misteriosamente sfuggito allo stano festino.
Così, non appena i Titani si allontanano,
l'intrepida bambina esce allo scoperto,
raccoglie il cuore e lo porta al padre
il quale, rivelando poteri decisamente
insospettati per un tiranno, sia pure
di Creta, fulmina i Titani, raccoglie
i pezzi del bambino, rimette a posto il
cuore e lo risuscita. Ma non basta: assicura
al figlio che questo bizzarro trattamento
gli ha conferito l'immortalità.
Va rilevato qui lo strano ruolo di Atena,
che come Hera dovrebbe essere una garante
dell'ordine, ma ne respinge la dimensione
"femminista" e preferisce ricorrere
all'autorità patema. Atena condivide
la verginità e l'abilità
guerriera con una altra dea: Artemide-Diana,
tanto che per certi aspetti le due figure
si confondono; la prima agisce nell'ambito
cittadino, garante delle attività
artigianali, la seconda è regina
dei boschi e signora dell'oltretomba.
Entrambe sono in ottimi rapporti col fratello
Dioniso. Questa vicenda, ricordata dai
giocattoli infantili che i sacerdoti di
Dioniso sono soliti usare nelle sue processioni,
illumina il diasparagmos di una luce diversa:
non più crudeltà gratuita
ma assimilazione col dio che per primo
è stato fatto a pezzi ed è
risuscitato per il bene dell'umanità
contro la tirannia di Hera.
Dioniso e Arianna
Dioniso
è sopravvissuto e cresce sano,
forte e vigoroso nella mitica contrada
di Nysa, che i Greci identificarono talvolta
con l'Arabia e talvolta con l'alto Nilo.
A questo punto si innamora follemente
della principessa Arianna. Purtroppo egli
non può ottenere legalmente la
sua mano, non potendo vantare regni terreni,
in compenso, da quando vi è sceso
per ricuperare sua madre, è signore
incontrastato dell'Ade. Dunque, per far
bella figura con la sua fidanzata, pensa
bene di farla uccidere dalla fida sorellina
Artemide che, in qualità di dea
dei boschi, maneggia molto bene arco e
frecce. La triade femminile che il mito
dionisiaco trae dalle più remote
origini indoeuropee, già suggerito
dalla presenza delle tre zie nutrici,
si ripropone ora nella piena maturità
di Dioniso per garantirgli la gioia: Semele,
dea della terra. Artemide, dei boschi,
Arianna signora degli alberi da frutta.
Secondo una versione più tardiva
Arianna era la figlia del tiranno di Creta,
sorella del Minotauro, che aveva contribuito
ad uccidere per amore di Teseo, il quale
però l'aveva ben presto abbandonata.
Qui la figura di Dioniso che trasforma
la sposa infelice in una dea è
decisamente più simpatica. Il risultato
comunque è lo stesso, perché
la sposa si porta in dote un bel bagaglio
di frutta: uva, fichi, olive...
Non sono piante citate a caso e meno ancora
è un caso quello che porta al Dioniso
greco questo pesante bottino agricolo,
completamente sconosciuto al più
antico dio dei Traci.
La terra d'Attica
A
differenza delle mitiche contrade in cui
si svolge la vicenda dionisiaca, che gira
tutt'intorno alla Grecia senza toccarla,
la terra d'Attica è povera e spoglia.
Il suo clima è fra i più
miti del Mediterraneo, ma la terra fertile,
cioè ragionevolmente umida, è
ben poca e divorata dalla salsedine: le
montagne che proteggono dall'aria del
mare... frenano anche la pioggia. Potrebbe
mantenere al massimo 100.000 persone,
mentre, allo scoppio della guerra del
Peloponneso, la popolazione greca si aggira
attorno alle 300.000 unità! La
vecchia gloria di Atene, di essere abitata
dagli unici Ionici che avessero saputo
resistere alla conquista dorica, nasconde
molto probabilmente una ben più
modesta realtà: al tempi delle
invasioni doriche l'Attica non valeva
il disturbo di intraprendere una campagna
d'armi!
Delle tre piante su cui si fonda tutta
l'economia agricola dell'Attica, piante
che i Greci vogliono sacre a Dioniso,
solo il fico è originario. La piantagione
su larga scala dell'ulivo e della vite
rappresenta, già nell'VIII sec.a.C.
secondo gli studi dell'Hyams, un tentativo
di "intervento ecologico" su
un territorio dal manto forestale ormai
gravemente compromesso dall'indiscriminato
abbattimento di alberi per la costruzione
di navi. D'altra parte, anche coltivando
viti ed ulivi, l'economia dell'Attica
continua ad essere fondamentalmente artigianale
e commerciale: si vendono vini ad alta
gradazione alcolica (il clima eleva il
tenore zuccherino) ed olio in cambio del
grano che non si può produrre.
Che cosa significa dunque dire che Dioniso,
già figlio di Semele ed opposto
rispetto all'ordine costituito, diventi
anche il signore di quelle piante che
permettono alla Grecia di affrancarsi
dall'incubo della fame?
Il suo rapporto con l'ordine sociale si
fa sempre più ambiguo, dato che
ne diviene, se non certo il custode, in
qualche modo il garante: senza l'olio
ed il vino la raffinata e colta civiltà
greca non esisterebbe neppure.
Dioniso e le altre divinità
Ecco dunque farsi strada, in epoca ellenistica,
un rapporto fra Dioniso ed Osiride, che
era già stato suggerito da Erodoto
(V sec. a. C.).
Il dio diventa figlio assolutamente legittimo
di Zeus e di Hera, nonché il marito
della dea egiziana Iside, insieme alla
quale si dedica ad un'importante opera
di civilizzazione: insegna all'uomo a
coltivare la vite ed il grano, mettendo
fine all'antropofagia che affliggeva il
popolo affamato. Il miracolo può
avvenire soltanto perché, con l'avvento
della civiltà romana, alla figura
di Hera si è sovrapposta quella
di un'altra dea-moglie: Giunone.
A differenza di tante divinità
ereditate passivamente dall'Olimpo greco,
quest'ultima non è affatto la copia
esatta di Hera, ma una divinità
autoctona del mondo latino, con molti
contatti con la civiltà etrusca.
E' vestita di pelle di capra, animale
che le resterà sacro, ed è
rappresentata armata di asta e serpente.
Garantisce la sacralità del matrimonio,
tanto da essere considerata la dea pronuba
per eccellenza, ma presso i Romani l'ordine
rappresentato dalla famiglia è
soprattutto espresso da una sana prolificità.
Giunone raccomanda la castità alle
mogli, ma non pensa neppure per un attimo
di potersi arrogare il diritto di punire
le infedeltà di suo marito; al
contrario: ella ha nel confronti di tutti
i mortali, compresi gli innumerevoli figli
illegittimi che Giove semina qua e là,
un atteggiamento dolcemente materno che
le vale il titolo di Sospita (Ausiliatrice)
nonché Madre e Regina. La nuova
Hera-Giunone ricorda molto da vicino Semele
e solo per questo può essere considerata
madre di Dioniso. Anche il figlio cambia
nome: Bacco, che godrà di maggior
popolarità rispetto a Dioniso,
deriva dal verbo "basein" chiacchierare,
farneticare, ed è strettamente
legato all'ebbrezza causata dal vino,
di cui ora il Dio è il signore
assoluto. Negli ultimi secoli dell'impero,
che poi sono i primi dell'era cristiana,
i gruppi di baccanti, che si riunivano
periodicamente l'uno in casa dell'altro
a celebrare banchetti sacri, sono forse
i più tenaci antagonisti del cristianesimo
stesso. Non perché lo contestino,
sia ben chiaro, ma perché hanno
la stessa apertura alle classi povere
e più o meno gli stessi riti, l'unica
differenza sostanziale è che non
rifiutano d'adorare l'imperatore.
Col passar del tempo infatti il culto
s'è evoluto in forme sempre più
serene anche laddove il Dio continua a
non essere conosciuto come divinità
agricola, come appunto nella zona balcanica.
Qui il suo mito si confonde con quello
del grande Alessandro, definito, in vita,
come "novello Dioniso". Molte
imprese di remote memoria alessandrina
sono attribuire dalla leggenda a Dioniso,
che percorre coi suoi seguaci le selve
e regala ai più devoti una grande
pace, in tutto simile all'estasi concessa
dal dio indiano Krsna. Non solo dunque
scompare lo spaventoso sacrificio dell'animale
divorato vivo, ma in genere, come appunto
nella civiltà indiana, si rinuncia
alla carne: durante l'estasi, come ci
comunica Platone non senza una punta di
sarcasmo, le baccanti vivono di acqua
dei fiumi e credono di nutrirsi di latte
e di miele.
Nell'immortale tragedia di Euripide i
canti e i balli portano appunto ad un'estasi
divina di tipo assolutamente mistico ed
è solo la comparsa dell’elemento
disturbatore, lo scettico Penteo, a risvegliare
nelle donne reminiscenze bestiali portandole
a consumare sull’uomo l’antico
sacrificio, per cui non era stato preparato
nessun animale, il che vuol dire che già
ai tempi d’Euripide (407 a.C.) il
sacrificio era solo un lontano ricordo.
Comunque anche quando c’era il diasparagmos
s’identificava con un rifiuto dell’ordine
inteso non come barriera contro la violenza,
ma, al contrario, come il più sottile
ed insidioso degli elementi sobillatori.
Se le baccanti divorano un animale sono
i Titani che si divertono a cucinare un
bambino!
Pertanto i devoti di Dioniso non cucineranno
affatto, almeno per la durata del rito:
si nutriranno di acqua, miele selvatico,
latte o carne cruda… a secondo di
quanto porta il Fato, che per i Greci
non è mai caso, ma al contrario
espressione di un ordine intrinseco molto
affine al concetto indiano di Karma.
Mary
Falco