A proposito dell’
“Ultimo tesoro”, sulla figura
contraddittoria di Heinrich Schliemann
Un
cercatore di tesori che amava la Grecia
di Mario
La Ferla
Delitto
Schliemann. L'ultimo mistero di Troia
In
queste ultime settimane, da quando è
uscito in libreria il mio volume “L’ultimo
tesoro. La vita segreta e la morte sospetta
di Heinrich Schliemann, l’inventore
di Troia”, devo constatare che il
celebre archeologo gode ancora di una grande
popolarità. Molti giornali, alcune
radio (una anche tedesca) e alcune reti
televisive mi hanno chiesto chiarimenti,
spiegazioni, informazioni, curiosità
e altre notizie sulla sua attività
di scopritore di tesori e sui lati oscuri
della sua vita e della sua morte. E quello
che sorprende di più, moltissimi
sono i lettori che telefonano e scrivono
alla casa editrice e a me per congratularsi
oppure per protestare contro la presunta
demolizione del personaggio.
Però è vero che il ritratto
che viene fuori dal mio libro è complessivamente
“negativo”, perché Schliemann
è descritto nei suoi aspetti più
clamorosamente discussi e discutibili. Per
esempio, la sua propensione a nascondere
molte volte la verità su alcuni fatti
significativi delle sue scoperte; e ancora:
la sua ossessione che lo portava a cercare
tesori ovunque, in Grecia, in Italia, in
Turchia, in Egitto. E poi il suo spregiudicato
senso "politico" che lo consigliava
a intrecciare rapporti soprattutto con quelli
che erano potenti, in politica e in economia,
e che quindi erano in grado di aiutarlo
e sostenerlo nelle sue imprese e poi nel
celebrarle con discorsi pubblici, premi,
onorificenze e articoli sui quotidiani più
prestigiosi dell’epoca.
C’è
una spiegazione alla “negatività”
del personaggio che viene fuori dal mio
libro. Ed è semplice. Su Heinrich
Schliemann sono stati scritti molti libri
di autori importanti e autorevoli: scrittori
e romanzieri, archeologi, studiosi di cose
antiche e scienziati, che si sono soffermati
soprattutto sull’attività di
ricercatore e di scavatore di siti preistorici.
Hanno raccontato soprattutto i metodi delle
sue ricerche e i criteri con cui procedeva
agli scavi. E’ vero che hanno anche
raccontato la sua vita privata, le mogli,
i figli, gli amici e i nemici, i protettori
e i denigratori, ma finora i libri sulla
vita di Schliemann hanno nascosto, non sapremo
mai perché, i lati più oscuri
della sua vita e il mistero della sua fine.
Man mano che leggevo i libri sul celebre
archeologo, di cui sono stato fin da ragazzo
un grande ammiratore, sentivo la necessità
di capire meglio la sua personalità
che nelle biografie non veniva descritta
in maniera completa, esauriente. Insomma,
c’era sempre un episodio rimasto sospeso,
un particolare enigmatico mai chiarito,
una vicenda complessa ridotta a poche righe.
Era come se di fronte a un personaggio così
solido e forse ingombrante gli autori provassero
una sorta di timore reverenziale: non erano
del tutto reticenti sui fatti talvolta riprovevoli
della personalità di Schliemann,
però dimostravano di non sentirsi
a proprio agio nell’affrontare i temi
più scottanti della sua vita.
E’ naturale che volendo scrivere un
libro sull’archeologo più famoso
del mondo dopo la pubblicazione di altri
mille libri dalla sua epoca ad oggi, io
abbia tentato una strada diversa, cioè
la ricerca della verità laddove gli
altri autori, ben più autorevoli
e prestigiosi di me, avevano preferito non
soffermarsi. Eppure di verità nascoste,
su Heinrich Schliemann, ce n’erano
tante, dal suo primo viaggio negli Stati
Uniti fino alla scoperta del “secondo
tesoro” di Troia rimasto sempre misterioso
e alla sua morte che rappresenta davvero
un rebus intrigante.
Per frugare negli angoli bui della vita
di uno degli uomini più celebrati
e discussi del mondo, nel tentativo di dissipare
le nebbie oscure che da oltre un secolo
avvolgono la sua fine, sono andato a frugare
negli archivi di biblioteche al di qua e
al di là dell’Oceano, ho consultato
collezioni intere di giornali a Napoli,
Berlino, Londra, Parigi, Atene; ho consultato
archeologi e storici che finora non avevano
mai detto una sola parola su Schliemann.
Ne esce un ritratto per certi versi inedito,
perché affronta le verità
perdute della vita e della morte dell’archeologo.
Per la prima volta, infatti, si parla delle
relazioni di Schliemann con personaggi che
all’epoca reggevano le sorti dell’Europa,
a Londra, a Parigi e a Berlino, insinuandosi
negli affari politici di altri paesi europei,
tra cui l’Italia prima dell’Unità.
E anche dei rapporti con gli esponenti più
fautorevoli della massoneria internazionale
legata agli ambienti politici ed economici
che tenevano in mano le sorti di mezzo mondo.
E infine degli affari che l’archeologo,
spinto dal suo irrefrenabile desiderio di
affermazione, non esitava a trattare con
elementi della malavita per commerciare
preziosi reperti archeologici.
Sarebbe
ingiusto e ingeneroso pensare che Heinrich
Schliemann fosse soltanto un uomo tormentato
da ambizioni sfrenate e da una scarsa propensione
alla vera amicizia disinteressata. Non dobbiamo
dimenticare l’aspetto più importante,
più esaltante e più romantico
della sua vita: la ricerca dei tesori perduti,
dei siti famosi seppelliti dalle colline
e dalla incuria della gente; il suo amore
sempre vivo per la Grecia classica, per
i suoi miti e i suoi eroi; quella voglia
inarrestabile di esplorare il paese tanto
sognato e tanto ammirato per carpirne i
segreti antichi e per far rivivere le leggende
di cui aveva sentito parlare, in casa, da
suo padre, fin da quando era appena un ragazzo,
nel suo paese nel Meclenburgo, in Germania.
Risulta addirittura che Schliemann abbia
ascoltato per la prima volta i versi di
Omero da suo cugino Adolph quando aveva
appena dieci anni. In una lettera inviata
nel 1858 Schliemann ricorda: “Il modo
in cui leggevi gli esametri di Omero destò
in me, allora bimbo di dieci anni, un tale
entusiasmo che ventiquattro anni dopo mi
dedicai all’arduo compito di apprendere
il linguaggio degli dei e degli eroi. Da
allora è rimasto il mio preferito”.
Quando, ancora giovane faceva il garzone
di bottega, e poi quando era già
un ricco commerciante a San Pietroburgo,
e durante i suoi frenetici viaggi che lo
portavano in giro per il mondo, Schliemann
non dimenticava mai di leggere l’
“Iliade” e l’ “Odissea”,
di studiare i testi, che comprava a Parigi
e a Londra, che parlavano del mondo di Omero
e dei suoi mitici personaggi.
Molti critici hanno definito vera e propria
ossessione l’entusiasmo che Schliemann
diceva di provare per Omero e per tutto
ciò che il poeta aveva raccontato.
Qualcuno insinuava che questo atteggiamento
fosse addirittura una posa per avere successo
nei circoli intellettuali d’Europa
e per acquistare credito presso altri famosi
archeologi ed esperti di cose antiche. Wieland
Schmied, prestigioso archeologo e studioso
insigne, smentì queste critiche:
“L’entusiasmo omerico di Schliemann
è di natura morale: il suo entusiasmo
per gli eroi di Omero, soprattutto per le
figure femminili, è l’entusiasmo
per il buono che in pari tempo è
bello e forte. Questo entusiasmo fu la luce
della sua oscura giovinezza ed esso soltanto
spiega la commozione che lo prende quando
quindicenne, mentre fa il garzone di bottega,
ascolta il mugnaio ubriaco che declama Omero”.
Schmied magari esagera quando nega che Schliemann
fosse un cercatore di tesori: “Non
gli importa di trovare oro e tesori, ma
tracce dell’esistenza dei suoi eroi,
egli li cerca come un personaggio di favola
cerca i fratelli perduti; parla con Omero
e Pausania, con Apollodoro e Strabone, s’intrattiene
con loro sull’aspetto passato e presente
dell’Argolide, litiga anche con i
geografi antichi se non è d’accordo
con loro sulla posizione di Troia”.
In realtà Schliemann era l’uno
e l’altro: il cercatore di tesori
instancabile e spregiudicato e l’appassionato
e sincero ammiratore di Omero.
Per dimostrare questa sua vocazione per
la ricerca della Grecia classica sono sufficienti
i suoi viaggi in Grecia, da un capo all’altro,
dalla Tracia al Peloponneso, nelle isole,
da Itaca a Creta, da Corfù a Citera.
Non aveva in mente soltanto Troia, ma voleva
riportare alla luce Maratona e indagava
sui siti delle Termopili e di Delfi, e soprattutto
riuscì nell’impresa di riportare
alla luce la reggia di Agemennone a Micene
e di eseguire scavi importanti a Orcomeno,
Tirinto e nella patria di Ulisse.
L’amore per la Grecia convinse Schliemann,
eterno giramondo, a mettere le radici ad
Atene dove abitava nella splendida dimora
di Iliou Mélathron e a sposare una
giovane greca, Sophia Engastromenos, della
quale ammirò la grazia e apprezzò
la sua casa di campagna a Colono, un miglio
a nord di Atene. Colono, per Schliemann,
era il massimo del fascino: era la città
che aveva dato i natali a Sofocle. Forse
per questo Sophia, al primo incontro, gli
apparve più attraente di quello che
era.
Heinrich
Schliemann riposa nel Primo cimitero di
Atene, in una tomba degna di un eroe. Da
molto tempo l’archeologo aveva scelto
il luogo dove voleva essere sepolto. Venne
provvisoriamente tumulato nel punto più
alto, da dove è possibile scorgere
i lontani colli dell’Argolide, dove
erano sepolti i re di Micene e di Tirinto,
in attesa di essere poi sistemato nel mausoleo
costruito qualche anno dopo la sua morte
e di cui lui stesso aveva studiato il progetto
insieme al suo amico, l’architetto
Ernst Ziller, che aveva disegnato anche
Iliou Mélathtron. Il mausoleo fu
costruito negli anni 1893-94 e costò
50 mila dracme. E’ un gioiello del
Primo cimitero, una vera opera d’arte:
un piccolo tempio greco di marmo bianco
che poggia sul soffitto della camera funeraria
che ha la forma e la funzione di un alto
piedistallo. Sugli scalini di fronte al
tempio si erge un busto di Schliemann, con
lo sguardo rivolto al Partenone. Sulle pareti
del tempio sono rappresentate scene tratte
dai racconti di Omero. Sull’architrave,
sopra le colonne, c’è un’iscrizione
greca che dice: “A Schliemann l’Eroe”.
Il mausoleo è grande e sontuoso.
E’ stato anche criticato per la sua
opulenza. Rispetta lo stile del grande archeologo,
discusso in vita e dopo la morte. Ma a lui
quel sito piaceva in modo particolare: aveva
deciso di essere sepolto proprio lì,
fra i greci che amava.
Mario
La Ferla
20 Febbraio 2006
Libri
di Mario La Ferla
L'uomo
di Atlantide
|