Rebetiko e accademia platonica: due pangee in soccorso della mediocrità post moderna

Paradigma del cuore, che si adatta all’amore di coppia, di amici, di tutto, compresa anche quell’Unione che esiste sulla carta ma non ancora tra le frontiere del sud mediterraneo. Rebetiko è una concezione: quella che il celebre musicista Manos Chatzidakis ha più volte definito come cardià tis Elladas. “Il rebetiko, – diceva – è espressione della storia della cultura greca. Il rebetis è l’uomo greco: un uomo coraggioso, compassato, che conosce la lealtà e la fratellanza”. Uno stile di vita e un modo di essere, prima che un’esperienza artistica legata al suono del bouzouky o alle note di un verso cantato.
E dall’altro l’accademia platonica, la tenace e alta idea della formazione dei paedià, l’imprescindibile mossa per fare scacco matto alle chiusure mentali, agli ircocervi della non conoscenza, alle mura che si stagliano alte e pericolose perché sorde a domande e rilievi, a controtesi e dibattiti. Un immenso oceano di gomma, che si combatte con gli strumenti non di visioni filosofiche solo sulla carta, meramente accademiche e destinate a polverose biblioteche. Ma, proprio in virtù della concezione platonica, al confronto diretto con domanda e risposta, a quell’intuizione “formativa” di plasmare i nuovi alla comprensione e alla logica delle cose prima che alla conoscenza di testi e menti.
I due elementi sono al centro della rassegna “La mia Grecia”, festival della cultura ellenica promosso a Roma in questi giorni dalla locale comunità ellenica e dall’associazione FuoriLuogo. Per tratteggiare contorni originali che scavalchino scenari classici o immagini recenti che l’impietosa cronaca ci offre. E per scartavetrare quella patina di supponenza verso un patrimonio al cui interno, invece, si trovano i germogli per far rifiorire una post modernità nata già appassita.
Fonte: Formiche del 14/3/13
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