Mikis
Theodorakis nasce il 29 luglio 1925
nell’isola di Chio da padre di origine cretese
e da madre di origine greco-anatolica.
Segue il padre, impiegato pubblico, nei
trasferimenti in diversi centri delle isole
egee, del Peloponneso e della terraferma.
Nel 1943, in piena occupazione italotedesca,
è ad Atene dove inizia gli studi musicali
al conservatorio dell’Odeion,e prende contatto
con la Resitenza, cui è già legato da quando
risiedeva a Tripoli di Arcadia, e per la
quale combatte, subendo arresti e torture.
Partecipa poi alla guerra civile (1946/1949)
nelle file dei “ribelli”.
Conosce i campi di concentramento, compreso
quello famigerato sull’isola di Macrònissos,
e la deportazione a Icarìa. Contrae la tubercolosi.
Nel 1950, messo in libertà, si diploma al
Conservatorio dell’Odeion, e completa il
servizio militare. Comincia a comporre e
a farsi conoscere in patria come nuovo talento
della musica greca. Nel 1953 un suo balletto
sinfonico, “Carnaval”, viene rappresentato
all’Opera di Roma. Si trasferisce quindi
a Parigi con una borsa di studio. Compone
pezzi sinfonici, musiche per balletto e
per film.
Fonda e dirige un’orchestra sinfonica classica.
Contemporaneamente decide di misurarsi con
la canzone popolare greca, la cui ricchezza
musicale, accumulata attraverso una lunga
e complessa tradizione, gli sembra straordinaria,
ma menomata da una deludente povertà sul
lato dei testi. Sceglie perciò un autentico
poeta, Yannis Ritsos, suo compagno di prigionia
a Macronissos, che già negli anni Trenta
aveva sperimentato lingua, stili e metrica
popolari e mette in musica- usando umili
ritmi di ballo, otto parti di un suo poema
del 1936, “Epitafios” (Venerdì Santo), dove
una donna del popolo, una madre come la
Madonna, piange il figlio ucciso durante
una manifestazione di lavoratori. Da quel
momento (1960), Theodorakis si colloca al
centro del rinnovamento della vita musicale,
artistica e culturale della Grecia del popolo,
impegnata a sconfiggere la terribile povertà,
e a sollevarsi a dignità democratica dopo
la guerra civile, la sanguinosa repressione
e l’arretratezza politica, sociale e culturale
coltivata da una monarchia autoritaria e
da una classe possidente gelosa dei suoi
privilegi, nazionalista, tradizionalista
e bigotta. I poeti convergono sulla musica
popolare e, ricambiati, danno voce e dignità
ai sentimenti e alla musica del popolo:
si assiste a una vera febbre culturale e
politica, che viene “curata” con il colpo
di stato militare del 21 Aprile 1967.
Maggiori
successi nel Cinema
1957 Colpo di mano a Creta
1959 Luna di miele
1962 Elettra
1964 Zorba
il greco
1969 Z, l'orgia del potere
1973 L'amerikano
1973 La quinta offensiva
1974 Serpico
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Dopo “Epitafios”
e sino alla dittatura militare, Theodorakis
compone: “Politìa Proti”, “Epifania”, “Lipotàchtes”
(Disertori), “Enas ‘Omiros (Un ostaggio)
per la rappresentazione dell’omonima opera
teatrale dell’irlandese Brendan Behan, le
opere teatrali “Omòrfi Poli” (Bella città),
“Tragùdi tu necrù adelfù” (Canto del fratello
morto), compone con altri musicisti la rivista
“Maghikì Poli” (Città magica) e, da solo,
un’altra opera teatrale, “I ghitonià ton
anghèlon” (Il quartiere degli angeli), dove
affiora il tema, destinato a fama universale,
della danza di Zorbà; la seconda Città (Politìa
Dèfteri), “Micrès Kiklàdhes” (Piccole Cicladi),
l’oratorio “Axion Estì” (Dignum est), “Romiossìni”
(Grecità), “Romancero Gitano”, sui versi
di Federico Garcia Lorca, “Balàda tu Mautchàusen”
(Ballata di Mauthausen), nella quale esordisce
la sua massima interprete, Maria Farandùri,
“Exi thalassinà fengària” (Sei lune marine),
destinate a uscire lo stesso giorno del
colpo di stato. Compone molto anche per
il cinema, sia greco, sia francese, importanti
le colonne sonore dei film “ Fedra” di J.
Dassin, e di “Zorba il Greco” di Cacoyannis.
Nutrita è anche la produzione sinfonica,
per balletto e per le scene delle tragedie
classiche. Egli stesso scrive molti testi,
poiché, come il fratello Yànnis, è un poeta
eccellente: ma i suoi autori sono anche
i principali poeti neogreci, T. Livadhìtis,
D. Christodhùlos, Odisseo
Elitis e Yorgos
Sefèris (che saranno insigniti del
premio Nobel), Yànnis
Ritsos, Nicos Gàtsos, Iàcovos Cambanéllis,
K. Vàrnali, P. Cocchinòpulos.
Ma è la straordinaria tradizione musicale
popolare che fornisce gli strumenti, le
voci e la materia prima che, rielaborata
trasformata e rivissuta, viene immessa nel
circolo della musica contemporanea, senza
scivolamenti folkloristici che pure sono
in agguato. Ma Theodorakis non solo usa
la materia prima del popolo; ma produce
anche materia prima per il popolo, cioè
“crea” canti popolari, che il popolo sente
subito, per quanto innovativi, come suoi
da sempre. L’avvento della dittatura dei
colonnelli nel 1967 trova dunque Theodorakis
rivestito di un ruolo indiscusso nel rinnovamento
culturale e politico. È presidente del movimento
giovanile LAMBRAKIS e deputato dell’EDA,
il nuovo partito della sinistra Greca (Il
partito comunista è fuorilegge dagli anni
della guerra civile). La sua notorietà di
artista è enorme e ha già largamente varcato
i confini.
Si schiera,
naturalmente, contro i colonnelli: dopo
pochi mesi passati in clandestinità viene
arrestato, condotto nel carcere Avèroff,
poi detenuto nelle carceri di Korìdallos,
mattatoi di molti suoi compagni di lotta,
come Andreas Lentakis. La sua notorietà
internazionale gli risparmia la vita: viene
confinato, agli arresti domiciliari, prima
a Vrachàti, dove ancora oggi Mikis ha una
residenza, e poi nel villaggio di Zàtuna,
sui monti dell’Arcadia. E’ sottoposto a
stretta sorveglianza di polizia; intimidazioni
ed umiliazioni coinvolgono la sua stessa
famiglia, la moglie Mirtò, il piccolo figlio
Yorgos e la figlia Margarita. La sua musica
è proibita, ma clandestinamente circola:
è la voce della Resistenza. Una campagna
di pressione internazionale, che riesce
a coinvolgere il Consiglio d’Europa, reclama
la sua liberazione, che però arriva solo
nel 1970, e dopo un altro periodo di carcere
a Oropòs, e di ricoveri in ospedali per
i continui scioperi della fame ad oltranza.
Da quel momento, tutta la sua musica e la
sua persona sono votate, in giro per tutti
i paesi del mondo, alla libertà della Grecia.
Alla caduta della Giunta militare, nel1974,
la festa del popolo non esprime né ferocia
né vendetta, ma è una festa di musica e
canto, intorno a Theodorakis e ad una generazione
nuova di autori e di cantanti cresciuta
nell’opposizione alla dittatura.
Anche nelle carceri Mikis riesce a comporre,
protetto dai suoi compagni di prigionia:
nascono “Mythistòrima” (Mitologia), “O ilio
ke o chronos” (Il sole e il tempo), “Epifània
Deftéri” (Epifania seconda), “Catàstasi
poliorchìas” (Stato d’assedio). Nel confino
di Vrachàti compone “Tragùdhia tu Andreas”
(Canzoni per Andrea), “Nichta thanàtu” (Notte
di morte), e nel confino di Zàtuna i dieci
cicli di “Arkadhìa” (Arcadia) e altro e
altro. I suoi poeti: Theodorakis, certo,
ma anche: Seferis, Manos Elefterìu, Y. Fotinòs,
A. Kalvos, A. Sikeliànos, T.Sinòpulos, Manos
Anaghnostàkis, e altri, tra cui il senegalese
Leopold Senghor. Nell’esilio nascono “Canto
General” dall’incontro col poeta cileno
Pablo Neruda, il ciclo “Stin Anatolì” (All’Est),
“18 Lianotraghùdhia tis picrìs Patrìdha”
(18 distici popolari per la patria triste),
sui versi di Yannis Ritsos. Ed altre musiche
per film, tra le quali “Z – L’orgia del
potere” e “L’Amerikano” di Costa Gavras,
e “Serpico” di Sidney Lumet.
Dopo il ritorno, la sua presenza politica
continua ad essere rilevante. Forte della
limpidezza e dell’autorevolezza del suo
passato, lavora per la conciliazione tra
i Greci, come aveva già fatto dopo la guerra
civile, quando aveva composto “Le canzoni
per il fratello morto”. Non dimentica nulla,
ed esorta a non dimenticare, ma sostiene
la soluzione Karamanlìs, cioè un governo
liberale di centro, perché non si riaprano
le vecchie ferite del suo popolo: purchè
la democrazia che si ricomincia a costruire
sia autentica e non subisca l’ennesimo tradimento.
Vuole l’integrazione europea; ma il suo
sguardo è ampio, va a comprendere il mondo.
Sa che musica e cultura sono materiali per
la costruzione di ponti tra i popoli ed
usa senza sosta queste armi per la pace.
Crea canali e occasioni di scambio culturale
tra il suo popolo e quello turco, per superare
gli storici pregiudizi reciproci.
Nel suo paese combatte l’intolleranza politica
e l’affarismo. Per questo è piuttosto malvisto
dai comunisti brezneviani e dall’estrema
destra. Ma non è certo un centrista: la
sinistra è parte integrante di lui, e lui
è parte integrante della sinistra. Ma quando
gli sembra che il governo socialista di
Andreas Papandreu si stia trasformando in
un regime personale, cripto-autoritario
e che alla sua ombra fiorisca la mala pianta
della corruzione, compie un gesto clamoroso,
e sostiene l’opposizione di centro-destra,
candidandosi nelle sue liste e ricoprendo
per qualche tempo un incarico nel nuovo
governo conservatore. Molti amici gli voltano
le spalle, anche la sua cantante migliore,
Maria Faranduri, che entra in parlamento
con i socialisti del PA.SO.K.
Pochi, invero, capiscono la serietà della
sua provocazione, che vuole mettere in guardia
contro i vizi storici del suo (forse non
solo del suo) Paese: le derive autoritarie,
il notabilato, la corruzione. Per questo
il suo monito viene variamente letto come
un’incoerenza senile, come un bel gesto
di un eterno ragazzo che vuol far politica
senza saperla fare, come un’ingenuità o
un sussulto di ambizioni frustrate. Ma nessuno
cessa di amare la sua musica e le sue canzoni,
che sono sempre nel cuore, anche se un po’
meno sulle labbra dei Greci, investiti e
un po’ narcotizzati dai nuovi stili di vita
consumistici anche in campo musicale.
La scomparsa di Papandreu e di lì a poco
il settantesimo compleanno di Mikis consacrano
la riconciliazione tra il grande musicista
e la sinistra, anche quella che sta al governo.
Decine di concerti in suo onore rilanciano
la sua figura a tutto campo. C’è solo il
rischio della sua riduzione a monumento
nazionale. Ma è un rischio ancora remoto,
perché Theodorakis continua a lavorare,
nonostante gli anni e la salute malferma:
compone e dà concerti in tutta l’Europa.
Tanto è forte il suo credo nei ponti culturali,
che quest’anno l’abbiamo visto importare
in Grecia un’orchestra di artisti tedeschi
che avevano magnificamente capito la sua
musica greca. Ancora oggi, a 75 anni di
età, Mikis è la più consapevole, profonda
ed estesa voce della Grecia contemporanea.
Esprime il meglio del suo Paese - un paese
perennemente e spesso drammaticamente in
bilico tra passato e presente, tra oriente
e occidente, tra passioni intense e fatalismo,
tra libertà e tirannia - e lo accorda, grazie
alla musica e all’ostinato amore per tutti
gli uomini e tutti i popoli, al meglio del
mondo intero.
Noi italiani cominciammo ad amarlo trent’anni
fa, negli anni bui della Giunta Militare
(1967/1974), quando, in esilio dopo dure
esperienze di carcere e confino (non certo
le prime, per lui, che già le aveva ben
conosciute durante l’occupazione nazista
e nella guerra civile contro i restauratori
del fascismo nel suo sventurato Paese),
diffondeva la sua musica nel mondo occidentale
e nei paesi allora socialisti perché tutti
sentissero quanto libero, limpido e solare
fosse anche nell’ira e nel dolore il cuore
dei Greci dotati di cuore e perché, amando
la sua musica, amassimo anche la libertà
perduta del suo popolo e, con lei, la nostra
stessa e quella di tutti i popoli. E così,
in quegli anni, anche i più distratti di
noi hanno conosciuto e cantato “Ragazzo
sorridente” e “Fiume amaro” e magari hanno
cercato di ballare con il vitalismo di “Zorba
il Greco”. E così, grazie a lui, i meno
distratti si accorgevano che la Grecia era
un piccolo paese dal corpo sì spezzato,
ma con l’anima, una grande anima, integra,
con la sua musica, la sua poesia, la sua
narrativa, il suo cinema, il suo teatro:
con un popolo e una cerchia di intellettuali
capaci di nutrirsi l’un l’altro (in una
società abituata a parlare due lingue greche
diverse, una per i ricchi, una per i poveri),
e di parlare al mondo e di ascoltarlo senza
dover per questo ripudiare i propri linguaggi
più autentici.
Di greco nel mondo, insomma, non c’era solo
la pur grandissima Maria Callas, ma c’erano
anche Mikis Theodorakis, Costas Gavras,
Theo
Anghelopulos, Nikos Kasangiakis,
Odisseo
Elitis, Yorgos
Seferis, Yannis
Ritsos, Maria Faranduri, Irene
Papas, Melina
Mercuri, che risultarono, per coloro
che, un po’ meno distratti, vollero andare
a vedere più a fondo, la punta di un iceberg
sconosciuto di fantasia e di rigore artistico
ed etico, di amore per il popolo e per l’umanità.
Chi fu conquistato dalla musica di Theodorakis,
e volle vedere quale musica si facesse nel
suo paese, scoprì che la musica greca, quella
buona, stava al centro di una raggiera che
la collegava con ogni esperienza musicale
passata e attuale, dall’occidente al medio
oriente, da quella popolare, laica e religiosa,
a quella bizantina e colta, e, soprattutto,
con la poesia contemporanea neogreca e straniera:
e con meraviglia scopriva come i poeti più
insigni scrivessero testi i quali, musicati,
sarebbero stati ascoltati (ma sarebbe meglio
dire rivissuti) dai colti e dagli incolti
in quello strano e per noi quasi inconcepibile
circuito di diffusione costituito non dalla
radio e dalla televisione, non dalle grandi
case discografiche e dai mega concerti,
ma da una fitta ragnatela di taverne fumose
nei quartieri poveri. Taverne nelle quali,
non a caso, cantare e suonare era stato
proibito dal Dittatore.
Scoprì allora che Mikis era nello stesso
tempo eccezione e regola: eccezione per
la singolarità del suo genio creativo, per
l’esrema e raffinata consapevolezza della
sua cultura musicale, per l’intensità e
la coerenza delle sue lotte di uomo libero,
per la sua “Grecità” non ripiegata su se
stessa, ma capace di trasformarsi in voce
dell’uomo e per l’uomo tout court senza
tradirsi e senza farsi indistintamente cosmopolita:
ma scoprì anche che il suo modo di essere
uomo e artista faceva scuola e quindi regola,
e che altri conducevano per altre strade
la stessa ricerca, non per un esteriore
meccanismo imitativo, ma perché molti intorno
a lui capivano la sua vivente lezione di
cosa potesse e dovesse essere un intellettuale
che s’incarichi di tutte le responsabilità
del dire e del fare di fronte al suo popolo
ed a tutti i popoli del pianeta: perché,
nel bene e nel male, ogni popolo è l’immagine
del suo simile e del suo dissimile; e toccherebbe
proprio alla cultura di mostrare questa
semplice e basilare verità, ed alla politica
di trarne le conseguenze costruendo i ponti
e facendo vivere la pace, e i diritti e
la voce di tutti e di ciascuno.
In parte, questo
modo d’intendere la musica dentro la vita
dell’individuo e del popolo cerca di sopravvivere
nella Grecia di oggi grazie a coloro che
appresero la lezione di Theodorakis, nonostante
e contro le devastazioni collettive e individuali
del consumismo, dell’intossicazione mediatica,
della corruzione politica, del pregiudizio
nazionalistico troppo spesso eretto a schermo
dell’insicurezza di sé e della minaccia,
sentita come luogo comune e per questo esorcizzata
con grotteschi e pericolosi ritorni di fiamma
tradizionalistici, della perdita di identità
nel contesto dell’Europa economica e della
globalizzazione mondiale.
E Theodorakis, a 75 anni, continua ancora
oggi a militare guardando avanti, in questa
nuova resistenza: resistenza globale, seppur
senza gli spargimenti di sangue di un tempo,
perché in gioco c’è l’intera anima della
Grecia, che è un patrimonio di tutti noi
e che rischia di dissolversi o nell’omologazione
o nella cristallizzazione. E lo fa, da quell’
“Assikico Pulaki” (Uccellino coraggioso)
che è sempre stato, senza padroni né padrini
politici e perciò non di rado frainteso
da coloro stessi che credono di credere
alle sue stesse idee. Solamente alcune delle
sue note più recenti, come quelle di “Poetica”
(1997), hanno il colore smorzato dello struggimento
e della pensosità, piuttosto che quelle
dell’impeto, dell’ira o della festosità.
Come se tornasse la vena delle Arcadie,
tristemente composte nel villaggio alpestre
di Zàtuna, dov’era il suo confino. Molti
pensano a Theodorakis quasi come a una specialità
greca, da godersi con il sole, il mare,
il meltemi, il sirtaki, i buzuki, e alcuni
cibi di un paese, la Grecia, noioso a scuola
con il suo passato pesante, ma piacevole
in vacanza, col suo presente leggero; altri
lo ricordano per le belle canzoni di lotta
politica e sociale; altri ancora hanno sentito
dire che Theodorakis è molto serio, quando
è sinfonico o bizantino, e quindi un pochino
noioso, da ascoltare compunti se non se
ne può fare a meno.
Quasi niente di tutto ciò è vero: Mikis
non si compone di tre, di sette o di più
parti; la sua stessa molteplicità è la sua
unità. Non poliedricità, né virtuosismo,
ma coerenza con un ideale, nel quale non
può esservi scissione fra l’uomo, il compositore,
il poeta; tra l’intellettuale e il popolo;
tra popolo e popolo, fossero anche, questi,
il Greco e il Turco; tra passato presente
ed avvenire. Gli stili e i linguaggi sono
dell’uomo e l’uomo è diversità e unicità:
e l’artista cerca ed esprime l’una per mezzo
dell’altra. E’ dunque un umanista, Mikis
Theodorakis: per questo egli sta nel passato
e nel futuro.
Per questo Theodorakis è la Grecia.
© Claudio Poncia
www.mikis-theodorakis.net
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